Le assaggiatrici, edizione Feltrinelli. Il volto inedito femminile della Seconda Guerra Mondiale
A tinte persino lievi, l’autrice Rosella Postorino di questo racconto dark - partendo da una prospettiva inedita - dipinge la ferocia di una delle pagine più dure della storia dell’umanità e delle dinamiche che si sviluppano all’interno di un gruppo di giovani donne.
Una storia, scritta da una donna, che tratta di donne in maniera molto femminile, profonda, inconsueta e tagliente. Piena di motivi di riflessione.
In una cittadina vicina al quartiere generale di Hitler, la tana del lupo, vengono selezionate 15 donne che non si conoscono tra loro, per assaggiare tutti i suoi pasti. In tempo di guerra il cibo scarseggia ed essere pagate per mangiare interi pasti, compresi di dolce, potrebbe sembrare un sogno, se non fosse che si potrebbe rischiare di mangiare qualcosa di avvelenato. E così ogni lauto pasto potrebbe essere l’ultimo.
Una di esse, Rosa Sauer, berlinese di nascita e vedova bianca che vive a casa con i suoceri, in attesa che il marito ritorni dalla guerra, meno provinciale delle altre si sente intrappolata dalla vita. “Perché, da tempo, mi ritrovavo in posti in cui non volevo stare, e accondiscendevo, e non mi ribellavo, e continuavo a sopravvivere ogni volta che qualcuno mi veniva portato via? La capacità di adattamento è la maggiore risorsa degli esseri umani, ma più mi adattavo e meno mi sentivo umana”. In quella nuova condizione Rosa è desiderosa di sentirsi accettata, di stringere legami ma si accorgerà presto che non ci sono amiche sedute a quella tavola, tranne forse Elfriede con la quale, tra verità nascoste, sente un punto di contatto.
Una condizione ambigua e spaventosa la possibilità di morire a ogni boccone, nel caso in cui fosse realmente avvelenato. È lo scacco a cui sono condannate Rosa e le ragazze che come lei assaggiano, vittime di un grande “sistema digerente” che le vede pedine impossibilitate a decidere, destinate a correggere ogni passo forzato e imposto dall’esterno perché sia il più utile possibile alla propria sopravvivenza. Si accetta così la scommessa dell’assaggio per mantenersi vive, per uno stipendio utile alla famiglia
Rosa, non ottiene l’incarico perché appartenente ad una fazione politica o seguace di una particolare ideologia, è costretta ad accettare il lavoro. Ogni giorno viene presa da casa sua e portata in una mensa con altre donne. Ognuna, più o meno pronta, consuma il suo pasto e per un’ora resta in attesa di scoprirne le conseguenze, analizzando ogni minimo cambiamento nel proprio corpo e sperando di arrivare al pasto successivo.
L’autrice analizza le relazioni sociali della protagonista, tenta di sondare quale legame possa unire delle donne che ad ogni pasto potrebbero morire, capire come la loro vita possa colorarsi di amicizia e amore nonostante la guerra e il dolore, cerca di analizzare il confine tra bene e male, tra privilegiati e vittime.
Insieme a lei le altre donne, con le quali condividerà la paura della morte e la mensa, l’aborto clandestino di una di loro, la sua relazione adultera con un ufficiale delle SS. Il contrasto tra il mondo esterno, fatto di paura, fame e morte e… l’apparente mondo di ricchezza e tranquillità che si respira in quelle stanze.
Il quotidiano appuntamento con la morte per queste giovani donne è diverso da quello dei soldati ma la paura che stringe lo stomaco, provoca la nausea e obbliga ad andare avanti…è la stessa della trincea.
Rosa scoprirà presto che le sue compagne di mensa non sono amiche, anzi. Incontrarle al Villaggio è quasi spiacevole. Si comprende il suo bisogno di accettazione a fronte della discriminazione che subisce dalle altre per essere un’elegante ragazza che proviene dalla capitale, la voglia di integrarsi, la ricerca del contatto e chi legge, si stupisce quasi quando non riesce a trovarlo con le altre, pur nella comune condizione femminile e nel bisogno di ognuna di esse di trovare il necessario supporto “in cattività”.
Recensione di Angela D’Albenzio